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Politiche / Istituzioni, governance e partecipazione

Strumenti attuativi: patti di collaborazione

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2023 — Le Madonie, Sicilia

sell Keywords

Cittadinanza attiva Amministrazione condivisa Cura dei beni comuni Spazi di comunità Spazi civici Processi partecipativi

groups Attori

  • Gruppi di cittadini
  • Singoli cittadini
  • Associazioni locali
  • Amministrazioni comunali
  • Enti filantropici/Fondazioni bancarie

I Patti di collaborazione rappresentano un accordo formalizzato tra amministrazioni pubbliche da un lato, in genere amministrazioni comunali, e cittadinanza attiva dall’altro, sia sotto forma di gruppi o collettivi sia attraverso singoli individui.

La peculiarità dei Patti, rispetto ad altri strumenti con finalità simili (vedi scheda coprogettazione), sta proprio nel rapporto diretto che si instaura tra amministrazione pubblica e cittadini, senza soggetti intermediari come le cooperative sociali.

L’oggetto dei Patti di collaborazione è molto spesso la gestione, la cura e la presa in carico di spazi fisici oggetto di abbandono e/o degrado, che vengono rimessi a disposizione della comunità o ripensati come luoghi di socialità attraverso progetti specifici ideati e messi in atto direttamente dalla cittadinanza attiva. Anche in questo si rileva una differenza con lo strumento della coprogettazione che riguarda più spesso l’organizzazione di servizi.

Dal punto di vista normativo, i Patti sono in genere attivati nel quadro di un Regolamento comunale per la gestione dei beni comuni (la denominazione specifica di tale Regolamento può variare in ciascuna amministrazione promotrice).

I Patti di collaborazione sono riconosciuti, al pari della coprogettazione, come uno degli strumenti che danno corpo al modello della “amministrazione condivisa”.

Finalità

Nella prospettiva dell’amministrazione comunale, vi è un interesse a riqualificare e tenere attivi spazi collettivi o pubblici in un contesto generale di riduzione delle risorse disponibili, tagli di bilancio e dunque difficoltà a farsi carico di spazi sociali e civici attraverso una gestione diretta di stampo “tradizionale” (con presenza di dipendenti, manutenzioni, etc.).
I gruppi di cittadini o i singoli individui o le associazioni locali che si fanno portatori di proposte per l’uso sociale di spazi mettono a disposizione le proprie risorse sia umane sia di rete.

Dal punto di vista della cittadinanza attiva, l’interesse sta soprattutto nell’opportunità di rafforzare i legami tra le persone e di sviluppare le reti civiche locali ampliando il coinvolgimento ad altri soggetti del territorio. Al di là delle attività svolte negli spazi e della gestione materiale degli spazi stessi, va colta in primo luogo la dimensione processuale dei progetti presentati dalla cittadinanza, cioè la capacità di aumentare il capitale sociale a una scala micro, di mantenere e rinnovare il senso di appartenenza a una comunità e a un territorio.

Gli obiettivi dei Patti sono dunque duplici: dal punto di vista fisico-spaziale, garantire una gestione e una promozione spesso innovativa di spazi di comunità; dal punto di vista sociale, offrire nuovi spazi di partecipazione e di civismo alla popolazione locale.

Attuazione nelle aree interne

L’analisi dei documenti mostra che i Patti di collaborazione, inquadrati attraverso i Regolamenti per la gestione dei beni comuni, caratterizzano in misura prevalente le grandi città e sembrano poco presenti nelle aree interne.

In effetti, il primo Regolamento per la gestione dei beni comuni in Italia è quello approvato dal Comune di Bologna nel 2014. Successivamente, altre grandi città hanno adottato questo modello di intervento. Nella sola città di Genova risultavano attivi nel 2021 oltre 250 Patti di collaborazione. Altre città con un numero rilevante di esperienze erano Torino e Pistoia, oltre a Bologna stessa. A Milano e a Roma sono stati approvati rispettivamente un Regolamento sui beni comuni urbani (2019) e il “Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni materiali e immateriali” (2023); a Napoli è stata sperimentato un percorso originale a partire dal 2011 che sta continuando.

La minore presenza (o minore visibilità) dei Patti nei territori delle aree interne potrebbe derivare da due ordini di ragioni. In primo luogo, trattandosi di uno strumento con implicazioni giuridiche non scontate, la sua elaborazione richiede uffici dedicati e figure specializzate, di solito più presenti nelle amministrazioni di grandi città. In secondo luogo, in contesti meno socialmente complessi, la partecipazione alla gestione dei beni che possono essere definiti “comuni” può avvenire più facilmente in forme più immediate, attraverso canali informali, rendendo quindi meno rilevante il ricorso a strumenti più codificati.

L’uso dei Patti di collaborazione e di un approccio rivolto alla gestione condivisa dei beni comuni sembra comunque essere iniziato anche in territori di aree interne, in particolare su impulso di Fondazioni ed enti filantropici.

Esperienze

In Lombardia, un caso significativo di applicazione dei Patti di collaborazione è quello riguardante il comune di Milano e in particolare quattro aree periferiche della città con caratteristiche di fragilità sociale e territoriale. Queste aree sono state oggetto del programma di interventi di rigenerazione urbana a base culturale promosso da Fondazione Cariplo, “Lacittàintorno”. Grazie a questo programma, le quattro aree periferiche individuate sono diventate dei terreni di sperimentazione per l’uso dei Patti per sostenere progetti di coinvolgimento civico volti a modificare gli usi di spazi collettivi. In seguito, i Patti di collaborazione sono stati utilizzati sistematicamente nell’iniziativa promossa direttamente dall’amministrazione comunale “Piazze aperte”, che ha ridisegnato insieme agli abitanti spazi pubblici di prossimità.

Al di fuori della Lombardia, un’esperienza significativa è quella della città di Napoli, dove sono state sperimentate forme giuridiche originali per trattare il tema della gestione condivisa dei beni comuni. In quel caso, non si è fatto ricorso dunque allo strumento specifico dei Patti di collaborazione, tuttavia i principi e le finalità di quell’esperienza sono caratterizzati da una simile filosofia di intervento, in quanto vi è un riconoscimento da parte dell’amministrazione comunale delle pratiche sociali volte al riuso di spazi collettivi, e si tende a costruire un rapporto diretto e paritario tra amministrazione e gruppi di cittadini attivi. L’esperienza napoletana prende le mosse dall’introduzione (nel 2015) della categoria di “uso civico collettivo” come modalità a disposizione dell’amministrazione per affidare la gestione di uno spazio collettivo direttamente alla comunità locale. In seguito, è stata deliberata una “Dichiarazione d’uso civico e collettivo” per un insieme definito di spazi collettivi già attivi in città (nel 2021). Dopo il cambio di giunta, tale esperienza sta proseguendo, pur con alcune modifiche (intenzione di introdurre un vero e proprio “Regolamento dei Beni Comuni e degli usi civici”).

Raccomandazioni

Il coinvolgimento della cittadinanza nel riuso di beni comuni, spesso spazi in abbandono, risulta funzionale a un obiettivo dell’amministrazione pubblica di promuovere la vivacità locale, la coesione sociale e quindi porre le basi per uno sviluppo anche delle parti più fragili del proprio territorio.

Sebbene i Patti di collaborazione e le altre esperienze affini sulla gestione condivisa dei beni comuni siano nate e si siano sviluppate prevalentemente in contesti urbano-metropolitani, potrebbero risultare di interesse anche per il contesto territoriale delle aree interne, soprattutto per la possibilità di rendere più stabili e consolidate eventuali esperienze puntuali ed estemporanee.

Soprattutto nella fase di elaborazione di una strategia d’area, gli strumenti messi a punto e già utilizzati da diversi anni in molte grandi e medie città italiane potrebbero essere utilmente integrati per rafforzare la governance territoriale anche nelle aree interne.